COPPIE ASSASSINE

(Mondadori, 1999)

Negli annuali criminali le assassine occupano uno spazio esiguo se paragonato a quello degli assassini. Il loro numero è però inversamente proporzionale al grado di atrocità dei delitti compiuti: dotate di minor forza fisica rispetto agli uomini, le donne hanno dovuto ricorrere a strategie più tortuose e originali per uccidere. E se i crimini al maschile si devono a collera violenta o a calcolo cinico, quelli al femminile sono dovuti a intimi e lente macerazioni- per gelosia, vendetta, perversione erotica- e suscitano un particolare orrore, terribile quanto affascinante.

Dai casi raccontati in questo libro, dal XVII secolo a oggi, appare una strana moltitudine di donne uniche e spesso inafferrabili, insieme astute e indifese, torbide e ingenue, vampire e martiri. Donne che, in bilico tra paura ed eccitazione, costruiscono con cura maniacale feroci macchine di morte per ritorsione contro un mondo da cui vorrebbero essere amate e che invece le sta stritolando. Come la contessa Erzsébet Bathory, che nel tetro Seicento ungherese sevizia giovani vergini con l’aiuto di un nano sadico, riscattando nel sangue un’infanzia infelice in compagnia di un fratello depravato. O come Mary Blandy, che nel puritano Settecento inglese avvelena il padre perché le impedisce di amare un uomo bigamo e traditore, l’unico però che l’abbia mai trattata con dolcezza. O come Marguerite Fahmy, avventuriera parigina d’inizio Novecento che sposa un arabo ricchissimo sognando lo sceicco di Rodolfo Valentino e si ritrova prima schiava, poi assassina per sopravvivere.

Non mancano le criminali più mostruose che con le loro storie hanno turbato le coscienze e diviso l’opinione pubblica, ad esempio la francese Jeanne Weber, ambigua strangolatrice di bambini, e l’italiana Leonarda Cianciulli, l’agghiacciante “saponificatrice di Correggio”; né le innocenti, quali Edith Thomson, ingiustamente ritenuta responsabile con l’amante, vero colpevole, dell’omicidio del marito, e Marie Besnard, condannata, a causa delle maldicenze del paese, per aver avvelenato undici persone.

In Assassine  Cinzia Tani ricerca le origini di ciascun delitto nelle coincidenze tra evoluzione psicologica e fatalità del destino e riesce così a offrire trentacinque storie appassionanti come altrettanti brevi gialli. Grazie alla sua prosa asciutta, quasi da cronaca giudiziaria, imprime una scansione “nera” alla narrazione, calando il fatto criminoso nella sua cornice quotidiana e quasi spiegando l’”incomprensibile” che si cela dietro ogni omicidio.