Cara Cinzia Tani, eravamo rimasti a questa domanda: come ti sei sentita nei panni di sceneggiatrice di fumetti? “È stato bellissimo. Perché in queste storie realmente accadute, che avevo già descritto e avevo studiato attraverso lunghe letture di libri, saggi storici nonché resoconti dei processi; in queste storie, dicevo, mi ci sono calata, ci sono potuta entrare con la trasposizione a fumetti. E poi è stata una grande emozione vedere i disegni, scoprire come Angel Fernandez aveva immaginato ciò che io avevo descritto attraverso la sceneggiatura. Davvero una grande esperienza”. Divertente?  Mi sono divertita molto di più a scrivere il fumetto che il libro!”. Ecco. Interessante. Perché? “Sono due lavori profondamente diversi. Nel libro, la realtà deve diventare letteratura. Devi ricostruire le emozioni, i fatti, i luoghi, i tempi attraverso le parole. È un lavoro molto duro, che richiede grande concentrazione. Pensi a tutto quello che deve sapere il lettore ed è un’operazione difficile, non un gioco.

Nel fumetto, la narrazione è più divertente, da una scena passi a quella successiva e il disegno offre già in se tutte quelle informazioni che altrimenti avrei dovuto scrivere. Davvero un gran divertimento”. Con il fumetto ti sei sentita più libera di trasgredire la verità storica? “Nei limiti del consentito, sì. E poi il fumetto si basa molto sul dialogo. Nei miei libri evito di inserire dialoghi, che assai difficilmente possono essere ricondotti a una fonte storica, a parte i resoconti processuali. E infatti ce ne sono pochissimi. Invece nel fumetto posso inventare i dialoghi, cercando di capire, interpretare il carattere di ogni persona/personaggio. Non solo. Devo anche trovare la giusta azione e situazione in cui inserire le frasi: sta uscendo di casa, sta guardando sotto una poltrona, sta aprendo l’ombrello, sta entrando in un albergo. Dettagli che in un scritto non hanno nessuna importanza, mentre nel fumetto sono necessari e ti permettono di entrare nella storia come in una realtà virtuale”. Se avessi potuto scrivere il libro dopo aver scelto le sceneggiature per i fumetti, che cosa sarebbe cambiato? “Forse mi sarei sentita più libera di inventare. Avrei inserito più dialoghi e il dialogo snellisce la lettura di una vicenda, spezzando le descrizioni e la ricostruzione storica. Avrei dato più spazio alla parte viva del racconto, al confronto tra i personaggi, alle azioni e ai gesti di cui è pieno il fumetto”. 

Questa osservazione di Cinzia è molto interessante; ci avevate mai pensato che un personaggio dei fumetti mentre parla può fare qualcos’altro? In un romanzo, lo scrittore deve risolvere il problema inserendo l’azione dopo le virgolette. Per esempio: “Questa sarà la vera arma del delitto”, disse John mostrando al suo complice il mazzo di chiavi appena rubato. Nel fumetto, invece come nel cinema, le due azioni si possono svolgere contemporaneamente. John, parlando, mostra il mazzo di chiavi a Jimmy. E ancora: noi leggendo non sappiamo come John pronuncia la frase. Lo fa ridendo? Stringendo i denti in un moto di rabbia? Con un ghigno di soddisfazione? Preoccupato? Non lo possiamo sapere, a meno che lo scrittore non anticipi l’apposita precisazione. Più spesso, lo precisa dopo: disse John con tono sicuro eccetera eccetera. Nel fumetto, invece, possiamo vedere l’espressione del personaggio.

È la contemporaneità del dialogo e dell’azione una delle forze del fumetto. E anche del cinema. E anche del cinema d’animazione. Un’avvertenza, però: non sempre l’espressione del personaggio è sincera. Nel cinema disneyano i personaggi hanno la forza di svelare sempre tutti i propri sentimenti. I cattivi sono cattivi, i buoni sono buoni, ma comunque nessuno di loro sa mentire. Nella realtà sappiamo che non è affatto così. Sappiamo che i più grandi criminali sono coloro che sanno camuffarsi, non farsi scoprire e hanno, anche di fronte alla flagranza, l’espressione più innocente del mondo. Non sono certo tutti come Crudelia De Mon, della quale si scorge la cattiveria anche a un miglio di distanza. Ma il fumetto ha l’arma per rivelare al lettore la menzogna, il tradimento. Se John stesse cercando di truffare il suo complice penserebbe: “Credi ancora alle favole Jimmy!”. Oppure si potrebbe usare la didascalia: “Jimmy crede ancora a Babbo Natale”. E, tanto per restare in atmosfera, “Noi ci rivedremo tra sette giorni”, scrisse Luca a malincuore. Lo spazio era ormai terminato. Ma prima di chiudere Nuvolette, aggiunse baldanzoso… …alla prossima!